Moda sporca di sangue:le fabbriche di pellicce di volpe in Cina


L’alta moda ha un costo. Non tanto monetario, quanto fatto di dolore, miseria, agonia, morte.

Chiunque abbia ancora il coraggio di indossare capi di pelliccia dovrebbe essere consapevole, fino al minimo dettaglio, delle sofferenze atroci cui sono sottoposti gli animali.

DailyMail ha recentemente pubblicato un interessante articolo sulle fox farm cinesi, ossia le fabbriche di pelli di volpe localizzate un pò ovunque nel Paese asiatico.

Le testimonianze rese sembrano estratti di un film dell’orrore.

Gli animali vengono strattonati fuori dalle loro gabbie per la coda e bastonati a morte da lavoranti che non battono ciglio. Riescono a farlo con una sigaretta tra le labbra, tanto violenze come queste sono la normalità.

Il metodo di uccisione delle volpi è tanto semplice quanto brutale, e il risultato sono pelli sporche di dolore e sangue che vengono esportate in tutto il mondo, Europa compresa, per essere lavorate e successivamente rivendute a caro prezzo.

Se non sono percosse fino alla morte, le volpi vengono uccise tramite la frattura dell’osso del collo: tenute a terra di forza, vengono calpestate sulla testa finché non smettono di respirare.

Gli attivisti che da anni denunciano questi abusi spiegano che, incredibilmente, questi animali sono i più fortunati. Perché quelli meno docili, quelli che si ribellano con tutte le loro forze al loro destino, vengono uccise a colpi di corpo contundente.

Ma se invece una volpe è docile, se non si muove quando viene tolta dalla gabbia, allora viene semplicemente appesa e scuoiata viva in modo da risparmiare ai lavoranti tempo ed energia.

I residenti che abitano nei pressi delle fabbriche di volpi si lamentano dell’odore di decomposizione e delle urla di terrore e dolore che provengono dalle strutture, notte e giorno, senza sosta.

Una volta che la pelle viene staccata dal corpo dell’animale proprietario, il corpo nudo e insanguinato dell’animale viene gettato su una pila di altri resti. Purtroppo, non è inusuale che alcuni animali siano ancora vivi dopo essere stati scuoiati: non ne hanno per molto, ma è un tempo comunque infinito in cui, completamente sotto shock, spalancano gli occhi e aprono la bocca cercando di respirare.

La loro agonia può durare fino a dieci minuti, secondo quanto documentato dagli attivisti.

Le pelli delle volpi vengono spedite oltreoceano. Si trasformeranno in cappelli, cappotti, bordini, babbucce. In tutto il mondo.

Gli attivisti per i diritti animali chiedono da anni di mettere fine all’orribile mercificazione della vita di queste creature, di porre uno stop alla morte inutile di migliaia di volpi che sono massacrate ogni anno in nome di una moda vile e falsa, ipocrita e crudele.


Gli allevatori cinesi non battono ciglio: spiegano che i loro margini di guadagno sono così esigui da non permettere agli animali una morte indolore, rapida e compassionevole così come l’opinione pubblica vorrebbe.

La realtà delle volpi da pelliccia è fatta di detenzione all’interno di gabbie microscopiche e luride, fino all’autunno. È infatti in quel momento che vengono trascinate fuori con la forza, volenti o nolenti che siano. Nel fango, nella pioggia, vengono picchiate a morte o scuoiate vive, calpestate fino a che non smettono respirare o prese a calci fino a spezzare loro tutte le ossa. Naturalmente le uccisioni avvengono di fronte agli animali ancora vivi, che sono ben consapevoli di ciò che li aspetta.

L’allevamento Lanhu, nei pressi della città di Xi’an, nella provincia cinese di Jilin, è soltanto uno dei numerosissimi mattatoi a cielo aperto localizzati nell’area rurale dal nordest del Paese.

Qui, le investigazioni degli attivisti sono state supportate dai residenti, stanchi della puzza e delle grida degli animali: si lamentano che i bambini rimangono turbati.

Lanhu alleva e uccide volpi blu, volpi rosse e procioni. Il proprietario, On Kung, spiega che per mantenere ciascun animale per i nove mesi che precedono lo scuoiamento spendono 50 euro, e che ogni pelle ne viene pagata 70: margini bassi.

Dice anche che la maggior parte degli allevamenti possiede dai 200 ai 300 animali. I costi sono bassi, il margine risicato, ma l’azienda continua a funzionare. Chi se ne importa delle vittime.

Non c’è riguardo, né pietà. Solo business.


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